Seconda Camera civile Tribunale d’appello, 12.2021.179 del 09.05.2022 (appello)

Art. 10 Lpar; 336 cpv. 2 CO – addetta reparto recapiti – appartenenenza a commissione del personale: si presume disdetta abusiva; la datrice di lavoro non è riuscita a provare che la continuazione del rapporto non fosse più ragionevolmente esigibile e che la disdetta fosse sorretta da un motivo oggettivo.

Fatti

La dipendente era entrata alle dipendenze della datrice di lavoro dapprima come ausiliaria a chiamata e dopo oltre 10 anni è stata finalmente assunta a tempo indeterminato con un grado di occupazione del 60% quale addetta del reparto recapiti. Poco dopo aver ottenuto un contratto fisso è rimasta incinta, ciò che aveva suscitato commenti negativi da parte di un superiore. Al rientro dal congedo maternità si è trovata di fronte a turni che le rendevono difficile conciliare il lavoro con gli orari dell’asilo nido. Le è quindi stato proposto il trasferimento in un altro team, dove effettivamente inizialmente gli orari erano più favorevoli. Ma dopo poche settimane sono stati nuovamente modificati. Nello stesso periodo è divenuta membro della neo costituita Commissione del personale (CoPe).
Dal 7 all’11 aprile 2016 è risultata inabile al lavoro per malattia. E’ poi subentrata un’inabilità lavorativa divenuta di lunga durata a causa di una sindrome ansioso-depressiva in seguito anche al trattamento subito nel nuovo team.
Durante la malattia la dipendente e i responsabili della datrice di lavoro hanno discusso più volte la situazione medica e lavorativa della dipendente, allo scopo di trovare una soluzione condivisa in merito al suo rientro sul posto di lavoro. Gli incontri non hanno tuttavia dato esito positivo, ritenuto che le alternative proposte dalla datrice di lavoro risultavano improponibili dal profilo medico e personale.
Il 9 febbraio 2017 la datrice di lavoro ha notificato la disdetta del rapporto di lavoro con effetto al 31 maggio 2017 a seguito della rottura dell’indispensabile legame di fiducia.

Decisione di prima istanza

La dipendente ha quindi adito la Pretura, chiedendo in via principale l’annullamento della disdetta con conseguente reintegro alle dipendenze della datrice di lavoro e, in via cautelare, il suo reintegro provvisorio per la durata della procedura ai sensi delle disposizioni sulla LPar nonché, in via subordinata, la condanna della datrice di lavoro al pagamento di fr. 42’870.60 a titolo di indennità per licenziamento abusivo (il CCL del settore prevede un’indennità per disdetta abusiva sino a 12 mensilità).

Ha fatto valere che il licenziamento sarebbe avvenuto a seguito delle sue richieste di potere svolgere il lavoro con orari regolari e compatibili con quelli dell’asilo nido allo scopo di conciliare i suoi impegni familiari con gli obblighi lavorativi. Il suo licenziamento costituirebbe quindi un trattamento discriminatorio basato sul sesso in relazione alla sua situazione di mamma. La disdetta non poggerebbe su alcun valido motivo e sarebbe altresì abusiva siccome notificatale durante il periodo in cui era membro della Commissione del personale. Oltre che per la sua attività sindacale, il licenziamento sarebbe avvenuto per il fatto di avere fatto valere in buona fede pretese derivanti dal rapporto di lavoro.

Con decisione del 15.10.2021, la Pretura ha condannato la datrice di lavoro al versamento di un’indennità per licenziamento abusivo pari a CHF 32’000.00. Ha invece respinto la richiesta di reintegrazione ai sensi dell’art. 10 Lpar, essenzialmente perché le discussioni tra le parti oramai non vertevano più attorno alla conciliabilità lavoro-famiglia e che era trascorso il termine di cui all’art. 10 cpv. 2 Lpar.

Decisione del Tribunale d’appello del Canton Ticino

Contro tale sentenza la datrice di lavoro ha presentato appello.

Preliminarmente il TA si domanda se l’autorizzazione ad agire rilasciata dalla Pretura per tutte le pretese non conciliate, quindi sia per le pretese che si basano sulla Lpar che sul CO, sia valida, o se per le pretese Lpar avrebbe dovuto adire l’ufficio di conciliazione per la parità die sessi (cfr. la decisione della stessa camera del 2 settembre 2019 inc. n. 12.2018.28). Dato che l’unico tema ancora dibattuto in sede di appello concerne la domanda subordinata fondata sulle norme del CO, conclude che appare superfluo e contrario al principio di economia processuale procedere per un tale motivo con la riforma della decisione impugnata nel senso di dichiarare irricevibile la petizione a causa dell’assenza di una valida autorizzazione ad agire, tanto più che nessuna delle parti aveva sollevato la questione. (consid. 1)

In merito alla disdetta abusiva, il Tribunale d’appello ricorda che “giusta l’art. 336 cpv. 2 lett. b CO la disdetta da parte del datore di lavoro è abusiva se data, tra l’altro, durante il periodo nel quale il lavoratore è nominato rappresentante dei salariati in una commissione aziendale o in un’istituzione legata all’impresa e il datore di lavoro non può provare che aveva un motivo giustificato di disdetta. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che se un licenziamento è avvenuto durante il periodo di protezione sancito dall’art. 336 cpv. 2 lett. b CO vi è la presunzione che lo stesso sia abusivo, indipendentemente dal fatto che quella circostanza sia o meno causale o che il lavoratore licenziato abbia effettivamente svolto delle attività in virtù del suo incarico. È sufficiente che al dipendente sia stata notificata la disdetta durante il suo mandato”.
Nel concreto e “Contrariamente a quanto sembra pretendere l’appellante, non è sufficiente a provare la fondatezza dei motivi di licenziamento da lei invocati il fatto che la disdetta non sia riconducibile al ruolo o all’attività concretamente svolti dalla dipendente quale rappresentante dei lavoratori.” (consid. 4)

Un motivo giustificato ai sensi dell’art. 336 cpv. 2 lett. b CO è dato quando sussiste una ragione che, agli occhi di un datore di lavoro ragionevole e ponderato – pur non essendo sufficiente a fondare una disdetta immediata – non permette di evitare il provvedimento del licenziamento”. Inoltre, secondo il CCL applicabile alla fattispecie la disdetta è considerata abusiva se data senza un motivo sufficientemente obiettivo. (consid. 5)

Nel caso concreto, la datrice di lavoro, a cui incombe l’onere della prova, non ha dimostrato che la disdetta del rapporto di lavoro fosse stata data per i motivi da lei invocati e sorretta da motivi obiettivi tali da non potere ragionevolmente esigere la continuazione del rapporto di lavoro.
Tra l’altro, il Tribunale ha considerato comprensibile che la dipendente avesse inizialmente respinta la richiesta di rientro nel team di recapito dove erano insorti i problemi che le avevano causato la depressione. Il fatto di aver poi preso in considerazione tale ipotesi di fronte alla prospettiva di licenziamento e in un momento in cui comunque cominciava a stare meglio, non è contraddittorio. (consid. 6)

Il Tribunale d’appello respinge quindi l’appello della datrice di lavoro e conferma la sentenza di prima istanza.

Pubblicazione della sentenza nel sito del Tribunale d’appello (www.sentenze.ti.ch)

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