DTF 127 III 207 del 19.01.2001 (ricorso per riforma)

Art. 8 cpv. 3 Cost. e art. 3 LPar; parità di salario. Rovesciamento dell’onere della prova (art. 6 LPar). Il divieto di ogni discriminazione fondata sul sesso è un principio assoluto. Nozione di motivo oggettivo idoneo a giustificare una disparità salariale fra uomo e donna.

Giurista impiegata in un’associazione di diritto privato sovvenzionata dalla Confederazione quale collaboratrice del dipartimento “Promovimento del commercio estero”. In occasione di una riorganizzazione aziendale, tutti i colleghi sono stati promossi a capo di un’unità regionale ad eccezione di un collega, che ha lasciato la ditta poco dopo, e della ricorrente, che ha ricevuto unicamente il titolo di “consigliere all’esportazione”. Ricorso parzialmente ammesso e rinviato all’istanza inferiore per ulteriori accertamenti.

Ai sensi dell’art. 6 LPar, si presume l’esistenza di una discriminazione quando la persona che la fa valere la rende verosimile. Questo alleviamento dell’onere della prova ha per conseguenza che, se la discriminazione è stata resa verosimile, l’onere della prova è rovesciato: spetta al datore di lavoro provare l’assenza di discriminazione. (consid. 3b)
Se impiegati di sesso opposto occupano una posizione paragonabile, con dei mansionari paragonabili, in seno alla stessa azienda, e se vi è una differenza di salario tra di loro, si presume che si tratti di una differenza basata sul sesso e il datore di lavoro deve portare la prova della non-discriminazione. Se il datore di lavoro non riesce a portare tale prova, la domanda deve essere accolta, senza esaminare se l’azienda, per il resto, adotta una politica del personale sessista. (consid. 3b).

Una discriminazione basata sul sesso può intervenire nella classificazione generale di diverse funzioni, oppure nella fissazione della rimunerazione di una determinata persona per rapporto a quella di altre persone di sesso opposto. In entrambi i casi, la discriminazione può risultare: dalla valutazione delle prestazioni di lavoro secondo criteri direttamente o indirettamente discriminatori; oppure dal fatto che dei criteri neutri, oggettivamente ammissibili in quanto tali, siano applicati in modo incoerente a svantaggio di un sesso. Un criterio invocato a giustificazione di un trattamento differente è applicato in modo incoerente se non è in concreto realizzato, oppure se non gioca alcun ruolo nell’esercizio dell’attività in questione, oppure se non influisce sulla valutazione delle prestazioni che in casi isolati. (consid. 3c)
Non sono discriminatorie le differenze di salario che si basano su motivi oggettivi. Sono tali i motivi che possono influenzare il valore stesso del lavoro, quali la formazione, l’anzianità, le qualifiche, l’esperienza, il campo di attività concreto, le prestazioni e i rischi legati al lavoro. Delle differenze di salario possono inoltre giustificarsi per motivi che non sono in relazione diretta con l’attività della lavoratrice o del lavoratore, ma derivano da preoccupazioni sociali, quali gli impegni famigliari o l’età. In via generale, un motivo oggettivo è idoneo a legittimare una disparità salariale soltanto se svolge un ruolo realmente importante in relazione all’esercizio di una determinata attività e se influenza di conseguenza gli stipendi versati dallo stesso datore di lavoro. (consid. 3c).

Il divieto di discriminazione tra uomo e donna non è soggetto a condizione alcuna (la corte cantonale aveva ritenuto che una disparità di trattamento basata sul sesso non sarebbe da presumere se l’impiegata fosse sottopagata in misura paragonabile sia per rapporto ai colleghi che per rapporto alle colleghe – sarebbe come giustificare una discriminazione con una discriminazione). Il divieto di discriminazione tra i sessi non si oppone invece a discriminazioni tra persone dello stesso sesso. (consid. 4).

Il divieto di discriminazione basata sul sesso si applica sia alle discriminazioni intenzionali sia a quelle non intenzionali (ciò che conta è il risultato). (consid. 5b).
Il fatto che un collega sia stato indebitamente favorito per rapporto ad una lavoratrice non esclude l’esistenza di una discriminazione: al contrario, ne è costitutiva. (consid. 5c).
Le difficoltà nel determinare se altre donne sono state vittime della discriminazione fatta valere sono irrilevanti. La discriminazione fatta valere è una discriminazione basata sul sesso nel quadro di un confronto con il lavoro svolto da altri colleghi, uomini. (consid. 5f).

La discriminazione è resa verosimile: l’istante, unica donna a coprire la funzione di “delegata”, è stata l’unica persona, tra quelle che entravano in considerazione, a non essere stata promossa in una posizione dirigente. (consid. 6)

I fatti vanno accertati d’ufficio. Questo obbligo si estende sia all’accertamento della verosimiglianza della discriminazione (il cui onere della prova incombe a chi fa valere la discriminazione), sia all’accertamento di un motivo idoneo a giustificare la differenza (il cui onere della prova incombe al datore di lavoro). (consid. 7).

Dato che l’autorità cantonale, che aveva negato la verosimiglianza della discriminazione fatta valere, non aveva esaminato se vi sono motivi idonei, estranei al sesso, a giustificare la disparità di trattamento, il caso è rinviato alla corte cantonale. (consid. 8)

Pubblicazione della sentenza sul sito del Tribunale federale (www.bger.ch)

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