Art. 3, 4, 5, 10 Lpar; art. 328, 336a CO; soccorritrice diplomata – disdetta abusiva e molestie sessuali – ricorso respinto perché la disdetta è dovuta a riorganizzazione; non era stata chiesta un’indennità per molestie sessuali (accertate).
Fatti
La ricorrente era stata assunta presso un’associazione quale soccorritrice diplomata nel 2007 e dopo vari corsi di prefezionamento e cambi di funzione è stata licenziata il 14 giugno 2012 con effetto dal 30 settembre 2012 nell’ambito di una riorganizzazione. Rimprovera alla datrice di lavoro disdetta abusiva perché non avrebbe tentato di appianare le divergenze tra lei e il caposervizi.
In un’occasione il direttore sanitario l’aveva pure apostrofata con “ha l’utero”.
Decisione di prima istanza
Pretura e Tribunale d’appello del Cantone Ticino hanno ritenuto non abusivo il licenziamento: la decisione di attribuire all’attrice, nell’ambito della riorganizzazione, in un primo tempo nuove mansioni e, in seguito, di interrompere il rapporto d’impiego era sostenibile e scaturente da circostanze aziendali e da scelte personali della lavoratrice.
Hanno accertato che in un’occasione il direttore sanitario dell’associazione si era espresso con toni e modi tipici di una molestia secondo l’art. 4 Lpar. Siccome però la dipendente aveva chiesto solo di accertare l’abusività del licenziamento e di condannare la convenuta al versamento di un’indennità per licenziamento abusivo ai sensi dell’art. 336a CO, e non in base all’art. 5 Lpar (pretese per violazione della Lpar) o dell’art. 10 Lpar (protezione dalla disdetta), hanno rigettato il gravame anche su questo punto.
Decisione del TF
Il Tribunale federale applica d’ufficio il diritto federale, ma salvi i casi di errori giuridici manifesti tiene conto unicamente degli argomenti proposti nell’atto di ricorso (onere di allegazione). Il ricorrente deve confrontarsi con l’argomentazione della sentenza impugnata e spiegare in cosa consista la violazione del diritto (onere di motivazione). (consid. 2).
Il Tribunale federale fonda il suo ragionamento giuridico sugli accertamenti dei fatti svolti dall’autorità inferiore, a cui appartengono sia le constatazioni concernenti le circostanze relative all’oggetto del litigio sia quelle riguardanti lo svolgimento della procedura dinanzi all’autorità inferiore, vale a dire gli accertamentiche attengono ai fatti procedurali. Può rettificare o completare solo accertamenti manifestamente inesatti, cioè arbitrari. Non è sufficiente che il ricorrente esponga una propria narrazione con cui completa in parte i fatti di appello. (consid. 3).
In relazione all’abusività della disdetta, la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che la sua opposizione alla riorganizzazione aziendale fosse rilevante per il suo licenziamento e che c’era un nesso di causalità fra la disdetta e la richiesta di tutela della personalità.
Non è riuscita a dimostrare che l’accertamento dei fatti della Corte cantonale secondo cui il licenziamento dipendeva da circostanze aziendali e da scelte personali della lavoratrice fosse arbitario. (consid. 4.3).
Al considerando 5.2.1, il Tribunale federale ricorda i principi che reggono la disdetta discriminatoria (indennità per disdetta abusiva sino a 6 mensilità, in base al salario presumibile o effettivo) e le pretese in caso di molestie sessuali (indennità fino all’equivalente di sei mesi di salario in base al salario medio svizzero). (art. 3, 4, 5 Lpar).
Per la validità di una disdetta di un contratto di lavoro non sono di principio richiesti motivi particolari, poiché il diritto svizzero del lavoro si basa sul principio della libertà di licenziamento. La disdetta è abusiva solo se viene pronunciata per delle ragioni inammissibili (art. 336 CO, elenco non esaustivo). (consid. 5.2.2.1).
La sentenza distingue poi tra disdetta discriminante (data per motivi legati al sesso ai sensi dell’art. 3 cpv. 2 LPar, art. 336 cpv. 1 lett. a CO, ragione intrinseca alla personalità) e quella data per rappresaglia (licenziamento per essersi lamentata di discriminazione vietata dalla LPar, art. 10 cpv. 1 Lpar – art. 336 cpv. 1 lett. d CO – pretese derivanti dal contratto di lavoro) (consid. 5.2.2.2).
Le indennità previste dalla Lpar (art. 5 cpv. 2 e 4) e quelle previste dal CO (art. 336a e 337c cpv. 3 CO) non sono cumulabili, perché la Lpar costituisce semplicemente una legge speciale rispetto alle norme del CO (consid. 5.2.2.3).
Il Tribunale federale ritiene non essere stata data disdetta per rappresaglia secondo l’art. 10 cpv. 1 Lpar perché la ricorrente aveva sì chiesto al datore di lavoro misure per appianare le frizioni sorte fra lei e il caposervizio, ma non per bloccare un’attitudine discriminante ai sensi della Lpar come poteva esserla quella del direttore sanitario. Il TF rinuncia quindi a verificare il rispetto del termine previsto da quella disposizione. (consid. 5.3.1.1)
La ricorrente aveva fatto valere formalismo eccessivo perché aveva comunque alluso alla discriminazione (per la prima volta) nella petizione per sostenere una violazione del dovere di protezione del datore di lavoro (art. 328 CO) e la molestia subita. Ma il TF ribadisce che la ricorrente ha chiesto solo un’indennità per licenziamento abusivo giusta l’art. 336a CO, non un indennizzo secondo gli art. 328 e 49 CO a causa di una violazione del dovere di assistenza né secondo l’art. 5 cpv. 2 Lpar (comunque non cumulabile con l’indennità ai sensi dell’art. 336a CO) (consid. 5.3.1.2).
Il ricorso è quindi respinto.
Pubblicazione della sentenza nel sito del Tribunale federale amministrativo (www.bger.ch)