DTF 4A_283/2022 del 15.03.2023 – ricorso in materia civile

Art. 4, Lpar; art. 328, 336aCO; impiegata di Banca – molestie sessuali, obbligo di diligenza della datrice di lavoro, disdetta abusiva, compensazione vacanze durante il periodo di disdetta – ricorso della datrice di lavoro respinto

Fatti

La dipendente era impiegata dal 2010 presso una banca di Ginevra. Nel luglio 2018 venne informata che sarebbe stata assegnata a un nuovo reparto in cui lavorava anche D., dal quale aveva subito molestie sessuali. Si ammalò. Il 25 luglio, su richiesta della dipendente, si tenne un colloquio con il responsabile delle risorse umane e il superiore, in occasione del quale colei si vide confrontata – non accompagnata e in lacrime – con il molestatore. Dopo la scadenza del periodo di protezione, la banca pose fine al rapporto di lavoro a partire dal 31 marzo 2019, sospendendola dall’obbligo di prestare il lavoro durante il periodo di disdetta e con conguaglio dei giorni di vacanza rimanenti.

Decisione delle istanze cantonali

La dipendente fece valere licenziamento per ritorsione a seguito della sua denuncia per molestie sessuali. Chiese un’indennità per molestie sessuali, per licenziamento abusivo e per le ferie non godute.

Il tribunale cantonale di prima istanza le riconobbe l’indennità richiesta per le ferie non godute, un mese di stipendio (stipendio medio svizzero di 6.502,00) a titolo di indennità per le molestie sessuali subite e tre mesi di stipendio per il licenziamento abusivo. Sentenza confermata dal tribunale d’appello. Il datore di lavoro ricorre al Tribunale federale.

Decisione del TF

Il datore di lavoro sostiene innanzitutto che i tribunali di grado inferiore si sarebbero basati esclusivamente sulla sensibilità della dipendente per valutare se si fossero verificate molestie sessuali. Il Tribunale federale richiama innanzitutto l’art. 328 CO, secondo il quale il datore di lavoro deve rispettare e proteggere la personalità del lavoratore, avere il dovuto riguardo per la sua salute e vigilare alla salvaguardia della moralità. In particolare, deve vigilare affinché il lavoratore non subisca molestie sessuali e, se lo stesso fosse vittima di tali molestie, non subisca ulteriori svantaggi. L’art. 4 LPar definisce poi come comportamento discriminante qualsiasi comportamento molesto di natura sessuale o qualsivoglia altro comportamento connesso con il sesso, che leda la dignità della persona sul posto di lavoro, in particolare il proferire minacce, promettere vantaggi, imporre obblighi o esercitare pressioni di varia natura per ottenerne favori di tipo sessuale.
Le molestie sessuali possono assumere varie forme, come battute sessiste, commenti grossolani o imbarazzanti, messa in mostra o uso di materiale pornografico, tentativi di toccamento con promesse di ricompensa o minaccia di ritorsioni e in generale, qualsiasi pressione per ottenere un favore di natura sessuale. L’art. 4 LPar copre non solo i casi di abuso di potere, ma tutte le molestie di natura sessuale che creano un ambiente di lavoro ostile (E. 3.1). Il tribunale di primo grado aveva rilevato, tra l’altro, che la dipendente era stata vittima di commenti inappropriati dall’autunno 2017 e che il dipendente le aveva toccato il sedere due volte alla vigilia di Natale 2017 e le aveva chiesto la misura del reggiseno (E. 3.2).

Il datore di lavoro, tra altri argomenti, mette in dubbio la credibilità della dipendente perché si è lamentata prima di un altro collega e non anche di D. Non sorprende, tuttavia, che la dipendente non fosse esposta per primo in relazione a D. Il fatto che altri colleghi non avessero testimoniato le molestie non significa che la dipendente non sia stata molestata in loro assenza. Che altri dipendenti della banca non avessero osservato molestie sessuali non è atto a mettere in dubbio le dichiarazioni dell’interessata, dei colleghi e delle persone vicine, nonché del medico curante e messaggi WhatsApp. In riferimento a questi e altri punti, il Tribunale federale non riconosce alcun apprezzamento arbitrario delle prove e nell’accertamento dei fatti da parte dell’istanza inferiore (E. 3.3).

Per quanto riguarda la presunta particolare sensibilità della dipendente, il Tribunale federale afferma che toccare il sedere senza il consenso della persona interessata costituisce oggettivamente una molestia sessuale (E. 3.4).

Per quanto riguarda la prova di aver adottato tutte le precauzioni richieste dall’esperienza e adeguate alle circostanze ai sensi dell’art. 5 cpv. 3 LPar, il datore di lavoro disponeva di direttive interne in merito alla procedura da seguire nei casi di molestie sessuali. Tuttavia, non aveva designato una persona di fiducia e imponeva alla vittima di affrontare il molestatore senza la presenza di un’altra donna, nonostante fosse in difficoltà manifeste (stava piangendo). Inoltre, le direttive non erano facilmente accessibili, il modulo di denuncia era solo alla penultima pagina e in caratteri piccoli, e un programma esterno di sostegno non conteneva alcun riferimento alle molestie sessuali, né lo conteneva lo strumento di denuncia. Gli stessi superiori non erano manifestamente a conoscenza della procedura interna. Il fatto che la dipendente non fosse molto proattiva è stato preso in considerazione nel determinare il risarcimento (un mese di stipendio). Agendo in modo poco benevolo, il datore di lavoro ha violato il suo dovere di diligenza ai sensi dell’art. 328 CO. Infine, per quanto riguarda la procedura interna di accertamento dei fatti, il Tribunale federale critica in particolare il fatto che fosse stata svolta in soli 19 giorni, che le audizioni siano state condotte da una sola persona e che non era stato redatto alcun verbale. La banca ha quindi violato il suo dovere di diligenza.(E. 4).

Abusività del licenziamento: Il datore di lavoro aveva licenziato la dipendente dopo che questa aveva segnalato in buona fede delle molestie sessuali e perché il rapporto di fiducia sarebbe venuto meno a seguito di questa denuncia, che la banca aveva ritenuto infondata e lesiva della reputazione del dipendente segnalato. Il licenziamento era quindi direttamente collegato alla segnalazione e quindi abusivo (art. 336 cpv. 1 lett. d CO). (E. 5)

Infine, poiché la dipendente licenziata era inabile al lavoro, il suo stato psichico era fragile e necessitava di cure mediche settimanali (psicoterapia), non poteva essere obbligata a prendere le ferie rimanenti (10,5 giorni) durante il periodo di disdetta inferiore a tre mesi. (E. 6).

Il ricorso è quindi respinto integralmente.

Accesso diretto alla sentenza (www.bger.ch)

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